Epatite C, l’allarme degli epatologi: “Ci sono i farmaci per eradicarla, mancano i pazienti”

Roma, 28 novembre

Sembra un paradosso al limite della facezia, invece è la realtà: dopo che, fin dall’avvento del sofosbuvir, i pazienti hanno reiteratamente lamentato l’indisponibilità dei farmaci per molti, troppi malati, ora la situazione sembra essersi rovesciata: ci sono i farmaci, che ormai hanno raggiunto percentuali di efficacia elevatissime, con oltre il 95 per cento di guarigioni, ma mancano i malati.

La notizia arriva dal congresso Hepatology in motion:

research and utilities, organizzato congiuntamente dall’università Federico II di Napoli e dall’università di Palermo, appena conclusosi nel capoluogo partenopeo, che ha rappresentato anche un’occasione per mettere a fuoco lo stato attuale delle cure per l’epatite C erogate in Italia.

“In effetti, emerge un problema di impiego delle nuove terapie ”

ha spiegato Antonio Craxì, professore di Gastroenterologia all’università di Palermo e presidente della Società italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva (Sige) “ma non in termini di possibilità di accesso, visto che teoricamente possiamo darle a tutti, quanto nel senso del reperimento dei pazienti. Siamo ancora largamente al di sotto del target fissato dall’Aifa di 80 mila terapie per anno e stimiamo di chiudere l’anno 2017 con non più di 60 mila pazienti trattati, quindi con un deficit importante rispetto al dovuto. Questo potrebbe causare un ritardo rispetto ai piani di eradicazione dell’epatite C che ci siamo posti a livello nazionale e che sono peraltro in linea con quanto l’Oms ci detta. Quindi c’è stato un forte richiamo a tutte le parti interessate e anche ai medici di medicina generale di attivarsi per inviare i pazienti per il trattamento”.

Il congresso napoletano ha consentito di fare il punto su tre patologie assai diffuse: le epatiti virali, la cirrosi epatica e la steatosi epatica non alcolica, la causa più frequente di epatopatia cronica nella pratica clinica ambulatoriale. Malattie caratterizzate da numeri veramente importanti: un milione di soggetti affetti da epatite C, 300 mila con epatite B, 200 mila con cirrosi epatica e 4-5 milioni con steatosi epatica non alcolica.

“La maggior parte delle patologie croniche del fegato possono essere curate o controllate e quindi la comparsa della cirrosi può essere di molto ritardata, se non addirittura bloccata” ha detto Nicola Caporaso, professore di Gastroenterologia all’università di Napoli “e abbiamo a disposizione farmaci in grado di inibire la replicazione del virus dell’epatite B. Ed essendo state eliminate tutte le restrizioni di accesso ai nuovi e straordinari farmaci anti-epatite C puntiamo all’eliminazione di questa infezione dal nostro Paese in 3 anni”.

“A oggi abbiamo curato in Italia l’8 per cento dei pazienti con Hcv” ha precisato Filomena Morisco dell’università federico II “e il livello delle terapie è ottimo: il prossimo futuro ci vedrà impegnati per migliorare la durata e semplificare le cure, più che puntare nuovi farmaci”.

Un dato interessante è arrivato ancora Caporaso: “

Sono Puglia e Campania le Regioni che hanno trattato più soggetti rispetto al numero totale di pazienti, la maggior parte con cirrosi. E Sicilia e Campania vedono oltre il 70 per cento dei soggetti trattati con il genotipo 1. Sono guariti oltre il 95 per cento dei soggetti trattati, con scomparsa totale della malattia. Ed è un successo dei medici italiani” conferma Caporaso “con il rammarico di aver cominciato tardi ad utilizzare gli ultimi farmaci”.

Il panorama terapeutico, in effetti, ha subito in pochissimi anni un’autentica rivoluzione: “Siamo passati dall’uso ‘esclusivo’ dell’interferon agli ultimi farmaci per la cura dell’Hcv con uso once daily, più potenti ed efficaci delle precedenti combinazioni” ha riassunto ancora Craxì. “Anche i dati clinici confermano la loro utilizzabilità anche per tempi brevi e con una terapia semplificata, cosa che diventerà la chiave del successo con i pazienti. E senza effetti collaterali importanti e con una ottima sicurezza. Insomma” ha concluso Craxì “l’uso della rivabirina è ormai un ricordo del passato e non per nulla le aziende hanno sospeso le sperimentazioni con questo farmaco”.

 

 

 

Font > RIFday – novembre 28, 2017